Quello tra Alessandro Tedeschi e Will Thomas Long era un incontro in qualche modo inevitabile, per la genuina passione con la quale entrambi interpretano la loro attività creativa e per la loro inclinazione a trarre ispirazioni da elementi naturali o atmosferici.
Non poteva quindi trovare miglior collocazione dell’etichetta romana Glacial Movements, dedita all’esplorazione di un isolazionismo ambientale ghiacciato, il terzo capitolo della trilogia a tema acquatico di Celer, che già si era manifestata in “Cursory Asperses” e “In Escaping Lakes”.

Dunque il ghiaccio quale trasformazione dell’acqua, così come il suono quale variazione infinita dell’interazione tra elementi, quando non prodotto della spontanea interazione tra field recordings e oscillazioni minimali che lambiscono il silenzio o lo smuovono flebilmente.

Opera breve, almeno per i suoi monumentali standard (“appena” cinquantadue minuti), ed estremamente delicata “Without Retrospect, The Morning” è incentrata sulle frequenze più basse del ghiaccio, della neve e del vento, catturate in occasione di un soggiorno di Long nello stato canadese dell’Alberta, nel corso del quale ha altresì lavorato registrazioni di piano e synth, riducendole a un’essenziale stato gassoso attraverso filtraggi e prolungatissimi delay.

Ne risultano segnali sonori inafferrabili e quasi del tutto uniformi, tanto da richiedere un ascolto a volume elevato per poter cogliere le impercettibili variazioni di suoni che per buona parte del lavoro stentano quasi ad essere percepiti come tali. Sarebbe decisamente ridondante, in proposito, interrogarsi sul senso ultimo di una simile operazione ed è ben possibile che, nel farlo, qualcuno possa giungere a conclusioni recisamente negative; tuttavia, una volta poste in relazione le risultanze auditive con le finalità concettuale ad esse sottese, si può ben dire che “Without Retrospect, The Morning” adempia appieno la missione di restituire in forma sonora le sensazioni atmosferiche che ne costituiscono l’essenza più profonda.

Ciò avviene tanto nel soffio leggero di “Holdings Of Electronic Lifts” e nella nota risuonante di “A Landscape Once Uniformly White” quanto nelle dense saturazioni di “Dry And Disconsolate” e “Distance And Mortality”, le cui torsioni droniche si inarcano in sibili in moderato crescendo. Quando poi si giunge ai conclusivi tredici minuti di “With Some Effort, The Sunset”, l’uniforme coltre nevosa si colora di riflessi aurorali, aprendosi con incedere narcolettico alle suggestioni più fuggevoli dell’ispirazione di Long.

Che se ne colgano i profili formali di opera certamente non incentrata su variazioni significative o ci si lasci avviluppare dalle sue frequenze ipnotiche, “Holdings Of Electronic Lifts” adempie comunque alla sua missione di colonna sonora di neve e vento, evanescente e sottile come gli elementi che l’artista californiano – che, ironia della sorte, sostiene di detestare il freddo – ha provato a trasformare in suono.

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